Osteoporosi, per romosozumab buona efficacia ma emergono segnali cardiovascolari

Osteoporosi, per romosozumab buona efficacia ma emergono segnali cardiovascolari

La sua approvazione era prevista per il mese di luglio. Invece, adesso è probabile che l’Fda voglia esaminare tuti i dati di safety del dossier registrativo del farmaco per poterne accertare la sicurezza cardiovascolare. L’approvazione nel 2017 a questo punto è diventata altamente improbabile.

Parliamo di romosozumab, il nuovo farmaco anabolico per la cura dell’osteoporosi che in uno studio di fase III ha visto confermati i dati di efficacia dei precedenti trial ma anche emergere il segnale di un possibile problema di safety a livello cardiovascolare.

Nello studio ARCH, i cui dati preliminari sono appena stati diffusi dalle due aziende, 4.093 donne in post menopausa con osteoporosi e ad alto rischio di fratture hanno ricevuto una iniezione mensile sottocutanea di romosozumab per 12 mesi oppure una iniezione settimanale di alendronato, sempre per 12 mesi. Entrambi i regimi sono stati seguiti da 12 mesi di terapia con alendronato.

Dopo 24 mesi di terapia, le donne nel gruppo di trattamento romosozumab hanno mostrato una riduzione del 50% del rischio relativo di frattura spinale rispetto al solo trattamento con alendronato. Nelle donne del gruppo romosozumab si è osservata una riduzione del rischio di frattura clinica del 27% e una riduzione del19% del rischio per la frattura non vertebrale. Gli eventi avversi erano simili tra i gruppi di trattamento.

Il dato che ha preoccupato i clinici è l’insorgenza di eventi avversi cardiovascolari di grado severo nel 2,5% dei pazienti trattati con romosuzumab verso l’1,9% registrato nel gruppo alendronato. Non sono state diffuse ulteriori informazioni circa la natura degli eventi cardiovascolari osservati.

“Stiamo lavorando alla comprensione del segnale di sicurezza cardiovascolare osservato e continueremo a discutere questi risultati con le autorità regolatorie globali e gli esperti del settore”, ha dichiarato Iris Loew-Friedrich, Chief Medical Officer di UCB.

Nessuno sbilanciamento negli eventi cardiovascolari era stato invece osservato in un precedente ampio studio clinico multicentrico di fase 3, chiamato FRAME (FRActure study in postemenopausal woMen with ostEoporosis), condotto su oltre 7mila donne in post-menopausa, in cui il farmaco era stato studiato contro un gruppo in placebo.

Informazioni su romosozumab
Romosozumab (AMG 785/CDP7851), primo anticorpo monoclonale anti-sclerostina, frutto della ricerca congiunta di Amgen e UCB, è un farmaco in grado di aumentare la formazione ossea inibendo l’attività osteoblastica indotta dagli osteociti. Si somministra per via sottocutanea con una sola somministrazione al mese (210 mg) per via sottocutanea.

La sclerostina è una glicoproteina codificata dal gene SOST e secreta dagli osteociti che ha il compito di inibire l’attività degli osteoblasti, le cellule deputate alla produzione di osso. Bloccare la sclerostina è come togliere il freno alla produzione di osso che perciò aumenta.

Pazienti con un deficit genetico di sclerostina o con delezione del gene SOST –che codifica per la sclerostina- hanno un’elevata massa ossea e un’aumentata forza ossea che si traduce in resistenza alle fratture. L’espressione del gene SOST è limitata al tessuto scheletrico e ciò rende l’inibizione della sclerostina un target farmacologico particolarmente attraente nell’ottica di limitare i potenziali effetti off-target del farmaco inibitore.

COMUNICATO AMGEN




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