Osteoporosi maschile, risultati positivi per romosozumab in fase 3 nello studio BRIDGE

Osteoporosi maschile, risultati positivi per romosozumab in fase 3 nello studio BRIDGE

In pazienti di sesso maschile affetti da osteoporosi (OP), il trattamento per 12 mesi con il farmaco sperimentale romosozumab si è dimostrato in grado, grazie al suo meccanismo di azione duale (aumento dei processi di formazione ossea e riduzione contestuale dei processi di riassorbimento osseo) di aumentare i livelli di densità minerale ossea a livello del rachide e del femore, rispetto al placebo. Il trattamento, inoltre, è risultato generalmente ben tollerato.

Sono questi i risultati principali dello studio BRIDGE (the pivotal Phase 3 placeBo-contRolled study evaluatIng the efficacy anD safety of romosozumab in treatinG mEn with osteoporosis) (1), recentemente pubblicati su JCEM.

Informazioni su romosozumab
Romosozumab, primo anticorpo monoclonale anti-sclerostina, frutto della ricerca congiunta Amgen e UCB, è un farmaco in grado di aumentare la formazione ossea inibendo l’attività osteoblastica indotta dagli osteociti. Si somministra per via sottocutanea con una sola somministrazione al mese.

La sclerostina è una glicoproteina codificata dal gene SOST e secreta dagli osteociti che ha il compito di inibire l’attività degli osteoblasti, le cellule deputate alla produzione di osso. Bloccare la sclerostina è come togliere il freno alla produzione di osso che perciò aumenta.
Pazienti con un deficit genetico di sclerostina o con delezione del gene SOST –che codifica per la sclerostina- hanno un’elevata massa ossea e un’aumentata forza ossea che si traduce in resistenza alle fratture. L’espressione del gene SOST è limitata al tessuto scheletrico e ciò rende l’inibizione della sclerostina un target farmacologico particolarmente attraente nell’ottica di limitare i potenziali effetti off-target del farmaco inibitore.

Disegno dello studio BRIDGE
Lo studio BRIDGE è uno studio multicentrico, internazionale, randomizzato, in doppio cieco, controllato vs placebo, condotto in 245 pazienti di sesso maschile, di età compresa tra i 55 e i 90 anni, con T score densitometrico della colonna lombare, dell’anca in toto o del collo femorale ≤ -2,5 o ≤ -1,5 e una storia di frattura non-vertebrale di fragilità (esclusa la frattura d’anca) o frattura vertebrale.
Lo studio ha valutato l’efficacia del trattamento mensile sottocute con 210 mg di romosozumab (n=163) per 12 mesi, rispetto al placebo (n=82) in pazienti randomizzati secondo lo schema 2:1, nell’aumentare i livelli di densità minerale ossea (DMO) a livello della colonna lombare, come pure l’effetto sulla BMD del collo femorale e dell’anca in toto a 12 mesi e a 6 mesi, nonché la variazione percentuale, rispetto al basale dei marker sierici di turnover osseo (P1NP e CTX).

Risultati dello studio BRIDGE
I risultati hanno documentato il soddisfacimento dell’endpoint primario grazie al trattamento con il farmaco sperimentale: romosozumab è stato in grado, ad un anno dall’inizio del trattamento, di determinare un incremento statisticamente significativo (+12,1%, p<0,001) della BMD a livello della colonna lombare (come documentato da esame DEXA) rispetto al placebo. Il trial ha documentato anche il raggiungimento di tutti gli endpoint secondari grazie all'anticorpo monoclonale anti-sclerostina: il trattamento a 12 mesi, infatti, è risultato associato ad un incremento percentuale statisticamente significativo della BMD sia a livello dell'anca in toto (+2,5%) che a livello del collo femorale (+2,2%) rispetto al placebo (p<0,01 in entrambi i casi vs placebo). I ricercatori sono stati in grado di documentare anche un incremento significativo dei valori di densitometria ossea in tutti i siti anatomici considerati nei pazienti trattati con romosozumab rispetto al placebo già a 6 mesi di trattamento; l'incremento percentuale dei valori di BMD è stato pari al 9% a livello della colonna lombare, all'1,6% a livello dell'anca in toto (p<0,001 per entrambi), all'1,2% a livello del collo femorale (p=0,0033). Il duplice meccanismo d'azione di romosozumab, infine, è stato confermato dai dati dei marker sierici relativi al metabolismo osseo, con un incremento dei livelli di P1NP, marker di formazione ossea (+85,8% rispetto al picco basale ad un mese) e una riduzione dei livelli di CTX (-30,8% dal basale ad un mese), marker di riassorbimento osseo. Passando alla safety, l'incidenza complessiva di eventi avversi (AE) di AE seri è risultata bilanciata tra i 2 gruppi di trattamento, Gli AE maggiormente riferiti (>5% nel braccio di trattamento romosozumab) sono stati la nasofaringite, il dolore lombare, l’ipertensione, la cefalea e la stipsi.

Sono state documentate reazioni al sito di iniezione nel 5,5% dei pazienti trattati con romosozumab e nel 3,7% di quelli appartenenti al gruppo placebo, di entità generalmente lieve.

L’incidenza di SAE cardiovascolari è stata pari allo 4,9% (8/163) nel braccio di trattamento romosozumab e al 2,5% (2/81) nel gruppo placebo.
L’incidenza di morte CV, infine, è stata pari allo 0,6% (1/163) nel gruppo di pazienti trattati con romosozumab e all’1,2% (1/81) nel gruppo placebo, in linea con quanto osservato in un altro trial registrativo di romosozumab (studio FRAME).

Riassumendo
I risultati di questo trial mostrano come il trattamento con romosozumab stimoli la formazione ossea, determinando un incremento di massa ossea significativo, in questa popolazione di pazienti spesso a torto trascurata e, di conseguenza, poco trattata.

Lewiecki EM et al. A Phase 3 Randomized Placebo-controlled Trial to Evaluate Efficacy and Safety of Romosozumab in Men With Osteoporosis. J Clin Endocrinol Metab. 2018 Jun 20. doi: 10.1210/jc.2017-02163. [Epub ahead of print]




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