Confronto tra diversi stili alimentari nel rischio di frattura di femore

Confronto tra diversi stili alimentari nel rischio di frattura di femore

Le fratture di femore comportano una significativa riduzione della qualità di vita, con perdita dell’indipendenza, rischio di nuova frattura, malattie croniche e persino aumentata mortalità (1). Inoltre, hanno un impatto economico significativo sui sistemi sanitari nazionali (2). Per tali motivi, la riduzione del rischio di frattura di femore è una priorità per la sanità pubblica.

Le diete prive di carne stanno diventando sempre più popolari nei paesi industrializzati, sia perché percepite come più salutari, sia per considerazioni di carattere etico ed ambientale. Diversi studi hanno infatti provato che soggetti che seguono una dieta vegetariana hanno un più basso rischio di malattie croniche cardiovascolari e cancro rispetto a chi consuma carne (3, 4). Tuttavia, evidenze riguardanti il rischio di frattura di femore sono poche e contraddittorie. Lo studio prospettico di Webster si propone di chiarire se esiste un’associazione tra i diversi stili alimentari ed il rischio di frattura di femore, e di pesare il ruolo che possono giocare su tale associazione diversi co-fattori quali l’indice di massa corporea (IMC), la massa magra (free fat mass – FFM), la densità minerale ossea (DMO), la forza (misurata con l’hand grip test) ed i livelli sierici di vitamina D ed IGF-1.

La popolazione di studio è stata selezionata dalla UK Biobank, una coorte prospettica di circa 500.000 adulti tra i 40 ed i 69 anni d’età, reclutati nel Regno Unito dal 2006 al 2010. I soggetti hanno tutti completato un questionario telematico circa il loro stile di vita, interviste tramite colloquio orale, e sono stati sottoposti a prelievi di sangue e misurazioni corporee. Sono stati esclusi soggetti con storia di fratture o di osteoporosi, persi al follow-up, con dati insufficienti per la valutazione e la classificazione in base alle abitudini dietetiche.

All’arruolamento, i partecipati hanno completato un questionario sul consumo di carne, pesce, uova e latticini, consentendone la classificazione in consumatori abituali di carne (più di 5 porzioni di carne a settimana), consumatori occasionali di carne (meno di 5 porzioni a settimana), pescetariani (consumano pesce ma non carne), vegetariani (consumano uova e latticini, ma non carne o pesce) e vegani (non consumano carne, pesce, uova e latticini). I vegani e vegetariani sono stati poi combinati in un unico gruppo.

La popolazione finale era costituita da 413.914 soggetti, osservati per una media di 12,5 anni. Durante questo periodo, si sono osservate fratture nello 0,8% di soggetti. All’arruolamento, i pescetariani e vegetariani erano più giovani dei soggetti che consumavano carne ed avevano un titolo di studio più alto. I vegetariani inoltre avevano valori di IMC, FFM, livelli sierici di vitamina D ed IGFF-1 più bassi rispetto ai consumatori regolari di carne o pesce

Dopo aver aggiustato i risultati per tutti i fattori di confondimento (età, sesso, IMC, etnia, attività fisica, consumo di fumo ed alcol, status socio-economico, numero di figli, comorbidità, terapie), il rischio relativo di frattura di femore dei vegetariani si è dimostrato più alto rispetto a quello dei consumatori regolari di carne, ma non a quello degli consumatori occasionali o ai pescetariani. La differenza di rischio assoluta equivaleva a 3,2 fratture di femore ogni 1000 soggetti in oltre 10 anni. Dei vari fattori di confondimento, modelli di mediazione hanno individuato l’IMC come unico ad influenzare parzialmente i risultati, essendo responsabile del 27.8% della differenza di rischio osservata. Al contrario, valori sierici di vitamina D ed IGF-1, e FFM non sembrano influenzare il rischio di frattura.

In conclusione, i vegetariani ma non i pescetariani o i consumatori occasionali di carne hanno un rischio più alto di frattura di femore rispetto ai consumatori regolari di carne. Tale rischio è influenzato dal IMC, dove valori più bassi sono responsabili della differenza di rischio osservata. Di conseguenza, una corretta organizzazione dei pasti ed il controllo del peso corporeo possono essere utili per mitigare il rischio di frattura di femore in soggetti che seguono una dieta vegetariana.

Commento all’articolo di Webster, J., Greenood, D.C. & Cade, J.E. Risk of hip fracture in meat-eaters, pescatarians, and vegetarians: a prospective cohort study of 413,914 UK Biobank participants. BMC Med 21, 278 (2023). https://doi.org/10.1186/s12916-023-02993-6

 

Bibliografia

1) Prince MJ, Wu F, Guo Y, Gutierrez Robledo LM, O’Donnell M, Sullivan R, et al. The burden of disease in older people and implications for health policy and practice. Lancet. 2015;385(9967):549–62

2) Manetti S, Turchetti G, Fusco F. Determining the cost-efectiveness requirements of an exoskeleton preventing second hip fractures using value of information. BMC Health Serv Res. 2020;20(1):955.

3) Tong TYN, Appleby PN, Bradbury KE, Perez-Cornago A, Travis RC, Clarke R, et al. Risks of ischaemic heart disease and stroke in meat eaters, fsh eaters, and vegetarians over 18 years of follow-up: results from the prospective EPIC-Oxford study. BMJ. 2019;366: l4897.

4) Watling CZ, Schmidt JA, Dunneram Y, Tong TYN, Kelly RK, Knuppel A, et al. Risk of cancer in regular and low meat-eaters, fsh-eaters, and vegetarians: a prospective analysis of UK Biobank participants. BMC Med. 2022;20(1):73.




siommms.it