Osteoporosi, Amgen e UCB ci riprovano con romosozumab

Osteoporosi, Amgen e UCB ci riprovano con romosozumab

Amgen e Ucb hanno ripresentato all’Fda una domanda di registrazione per romosozumab chiedendone l’indicazione per il trattamento dell’osteoporosi nelle donne in postmenopausa ad alto rischio di frattura. Lo rendono noto le due aziende con un comunicato.

Nel luglio 2017, l’Fda aveva rilasciato una cosiddetta “complete response letter”, in sostanza una bocciatura, per la richiesta di licenza biologica per il romosozumab, chiedendo ad Amgen di presentare anche i dati di sicurezza ed efficacia degli studi ARCH e BRIDGE. La domanda inziale si basava, sostanzialmente, su un unico studio, il FRAME:
L’Agenzia europea per i medicinali e l’Agenzia giapponese per i prodotti farmaceutici e i dispositivi medici stanno attualmente esaminando le domande di commercializzazione per il farmaco e sono in corso interazioni con tali agenzie.

Come funziona romosozumab
Romosozumab blocca selettivamente la sclerostina, una glicoproteina che ha la funzione di inibire l’attività osteoblastica indotta dagli osteociti. Bloccando la sclerostina, romosozumab favorisce, in modo naturale, la formazione di nuovo tessuto osseo con una microstruttura regolare. Il nuovo anticorpo esercita quindi un’azione combinata: da una parte riduce il riassorbimento osseo e dall’altra ne stimola la formazione di nuovo, e ne aumenta la densità minerale. E’ sufficiente una sola somministrazione al mese (210 mg), per via sottocutanea.

La nuova domanda di registrazione
La domanda originale presentata all’Fda nel settembre 2016, era basata sui dati di efficacia e sicurezza dello studio FRAME, un trial di fase 3 controllato con placebo in 7.200 donne in post-menopausa con osteoporosi.

La nuova domanda di registrazione per romosozumab include i risultati di due più recenti studi di fase 3, tra cui lo studio ARCH, uno studio comparativo con alendronato che include 4.093 donne in post-menopausa con osteoporosi che hanno subito una frattura, e lo studio BRIDGE, condotto in 245 uomini con osteoporosi.

Lo studio ARCH ha incluso 4.093 donne la cui età media era 74 anni e il cui punteggio T medio dell’anca era -2.8. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere 210 mg di romosozumab sottocutanea una volta al mese o 70 mg di alendronato per via orale una volta alla settimana per 12 mesi. Successivamente, tutti i pazienti hanno ricevuto alendronato a rilascio in aperto, 70 mg una volta al mese per 24 mesi.

Nuove fratture vertebrali sono state osservate nell’11,9% del gruppo alendronato/alendronato e nel 6,2% del gruppo romosozumab/alendronato per 24 mesi, per una riduzione del rischio del 48% (p<0,001), mentre nuove fratture cliniche si sono verificate nel 13% e 9,7%, rispettivamente, per una riduzione del rischio relativo del 27% (p<0,001). Per le fratture non vertebrali, i tassi t erano rispettivamente del 10,6% e dell'8,7%, rappresentando una riduzione relativa del rischio del 19% (p=0,040). Una sicurezza che andrà confermata
L’Fda adesso rivaluterà il profilo clinico rischio-beneficio del farmaco, tra cui un segnale di sicurezza cardiovascolare emerso nello studio ARCH.
In questo trial, gli eventi gravi cardiovascolari hanno avuto un’incidenza a 12 mesi del 2,5% nel gruppo romosozumab e 1,9% nel gruppo alendronato. Gli eventi ischemici cardiaci si sono verificati nello 0,8% del gruppo romosozumab e nello 0,3% del gruppo alendronato al mese 12 e nell’1,5% del gruppo romosozumab/alendronato e nell’1% del gruppo alendronato/alendronato al mese 24.

Non esiste una chiara spiegazione per il problema della sicurezza, e ci sono una serie di ipotesi. È possibile che questo sia legato al farmaco, c’è una certa plausibilità biologica per l’associazione. La sclerostina è espressa costitutivamente nell’aorta ed è regolata dalla calcificazione vascolare e valvolare. La funzione della sclerostina nella vascolarizzazione è sconosciuta”. È anche possibile che l’alendronato possa avere effetti protettivi sugli eventi cardiovascolari, secondo alcuni dati osservazionali. Tuttavia, due meta-analisi non hanno mostrato effetti protettivi, per cui è ancora tutto da dimostrare.

Lo studio inziale: FRAME
La domanda inziale includeva i dati di un programma completo di fase 1 e fase 2 e lo studio di fase III FRAME controllato con placebo, in 7.180 donne in postmenopausa con osteoporosi. I ricercatori hanno scoperto che le donne in postmenopausa con osteoporosi assegnate al romosozumab a caso presentavano un rischio più basso di nuove fratture vertebrali rispetto al placebo sia a 12 che 24 mesi, secondo i risultati dello studio FRAME pubblicato sul New England Journal of Medicine.

I pazienti nello studio hanno ricevuto romosozumab o un placebo per un periodo di 12 mesi. Entrambi i gruppi di studio sono stati trattati con denosumab per un periodo di un anno, dal mese 12 al mese 24. I risultati sono stati che il trial è stato in grado di soddisfare gli endpoint co-primari della riduzione delle fratture vertebrali in donne in postmenopausa a mesi 12 e 24 rispettivamente.
Alla fine dello studio, che era il 24 ° mese, il farmaco ha fornito una riduzione statisticamente significativa delle fratture verterbrali del 75% (p <0,001). Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che i pazienti assegnati al romosozumab hanno mostrato miglioramenti anche nella massa ossea, con benefici duraturi nella transizione al denosumab dopo 12 mesi. Il farmaco tuttavia aveva fallito uno degli end point secondari più importanti, quello delle fratture non vertebrali nelle quali non era andato meglio del controllo.




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